(DAM) Manoppello (PE) – Nel Pescarese sì erge la Chiesa di Santa Maria Arabona, imponente struttura che dimostra pienamente la stratificazione dei culti attraverso i secoli.
Tra i gioielli architettonici più luminosi d’Abruzzo, la Chiesa di Santa Maria Arabona è tra i monumenti più conosciuti della nostra regione.
Edificata sul finire del 12° secolo ad opera dei monaci cistercensi, è ufficialmente monumento nazionale dal 1902. Al di là del suo indubbio valore artistico, comunque, l’Abbazia rappresenta una preziosissima testimonianza per quanto riguarda la sovrapposizione dei culti attraverso i secoli nonché dell’adattamento di tradizioni e luoghi religiosi preesistenti nel sistema cattolico.
Il luogo scelto dai monaci per erigere Santa Maria Arabona, infatti, è di antichissima frequentazione cultuale, come ci suggerisce lo stesso toponimo Arabona. Il riferimento è alla Dea Bona, divinità italica della fertilità che aveva un santuario nello stesso sito dove oggi sorge l’Abbazia: Arabona deriverebbe dunque da “Ara” “Bona”, altare della Dea Bona.
Il culto di Bona si inserisce a pieno titolo in quello delle Grandi Madri, divinità femminili del pantheon italico legate alla fertilità e fecondità. Oggetto di culto in particolare da parte della popolazione dei Marrucini, Bona era legata al mondo delle acque e a ulteriore riprova del suo legame con il sito dell’attuale Santa Maria Arabona troviamo nelle immediate vicinanze una fonte, molto probabilmente utilizzata per riti sacri e abluzioni in antichità.
Come era usanza all’epoca, anche per l’Abbazia di Santa Maria Arabona si riscontra un riutilizzo di materiali preesistenti: nella struttura attuale possiamo ancora scorgere alcuni mattoni originali dell’antico tempio della Prisca Religio.
Nel sistema cistercense, inoltre, era usanza costruire una rete di Abbazie “madri” e Abbazie “figlie”: quella di Santa Maria Arabona è figlia di quella di Cluny in Francia, di cui riprende fedelmente il modello.
Vanta comunque legami anche con l’Abbazia di San Vincenzo e Anastasio delle Tre Fontane, essendo stata fondata da monaci provenienti proprio da lì.
A sua volta, l’Abbazia di Santa Maria Arabona è “madre” di quella di Santa Maria dello Sterpeto, nella zona di Barletta (Puglia).
Nel corso della sua costruzione, Santa Maria Arabona ha subito diverse interruzioni, che hanno lasciato segni nella struttura generale. Alla fase più arcaica dei lavori appartengono l’abside e il transetto di forma rettangolare affiancato da due coppie di cappelle molto ampie: in tutta l’Abbazia si respira un senso di forte spazialità.
Tra gli arredi di una Chiesa in realtà molto sobria spiccano il Tabernacolo e il Candelabro.
Il Tabernacolo si rivela un’edicola gotica finemente lavorata con motivi a intreccio e floreali.
Quanto al Candelabro, realizzato tra il 13° e il 14° secolo, troviamo un’iconografia fortemente simbolica. La colonna centrale, che rappresenta Gesù, è decorata con un motivo a vite, in rappresentanza dell’eucarestia. Alla base troviamo alcune fiere che attacano la vite, allegoria delle eresie che minacciano la vera fede. Sul capitello, infine, troviamo 12 colonnette a rappresentare gli Apostoli.
Particolare è anche la Cappella di San Rocco, situata a destra dell’ingresso a Nord, tuttora gestita dall’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Sulla parete, circondato da bellissimi affreschi, è ancora ben visibile lo stemma dell’Ordine. Risalente al 1099, l’Ordine equestre è uno dei più antichi della Chiesa cristiana ed è considerato la sola istituzione laicale chiamata a sostenere la presenza cristiana in Terra Santa.
Interessante da ricordare, infine, la cosiddetta Porta dei Morti: si tratta di un ingresso situato sotto il rosone della parete nord che anticamente conduceva al cimitero, oggi perduto. Il muro esterno riporta tuttora dei simboli di controversa interpretazione: una M con un ricciolo spinato in cima e un’altra M attraversata da una S.
All’interno della Chiesa, inoltre, è frequente imbattersi nella simbologia legata ai Templari, in particolare nei cosiddetti “fiori della vita”. Curiosamente uno di questi fiori, solitamente con 6 petali, ne contiene invece 7.
Cristiano Vignali e Claudia Falcone – Discovery Abruzzo Magazine