L’Abbazia di San Clemente a Casauria e il riutilizzo dei materiali romani

(DAM) Castiglione a Casauria (PE) – Nel cuore della Val Pescara scopriamo l’Abbazia di San Clemente a Casauria, antichissimo complesso monumentale che mantiene inalterato il suo fascino attraverso i secoli.

L’Abbazia di San Clemente a Casauria, nel cuore della Val Pescara e con precisione a Castiglione a Casauria, è uno dei monumenti architettonici più affascinanti d’Abruzzo, vero e proprio gioiello dell’architettura romanico-gotica in Abruzzo, di cui rappresenta uno dei più fulgidi esempi.
Quando posiamo lo sguardo sulle meravigliose architetture dell’Abbazia, allo stesso tempo, abbiamo un punto di vista inedito sulla Storia: San Clemente a Casauria, infatti, affonda le sue radici nell’antichità, raccontando attraverso la sua struttura, dettagliate cronache del passato.

L’Abbazia di San Clemente a Casauria è stata fatta erigere dall’imperatore Ludovico II e consacrata nell’872 d.C. Inizialmente era stata intitolata alla SS. Trinità ma poi, quando i resti di San Clemente vi furono traslati, cambiò intitolazione, mantenendola anche ai giorni nostri. Gran parte della ricca storia dell’Abbazia attraverso i secoli può oggi essere ricostruita con precisione grazie al Chronicon Casauriense, redatto negli anni che vanno dall’872 al 1182 e oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.

A ben guardare, comunque, la storia dell’Abbazia di San Clemente a Casauria comincia ben prima dell’872 d.C. ed è raccontata direttamente sulle sue pareti: possiamo notare, infatti, nella costruzione e in particolare nella cripta, il reimpiego di materiali provenienti da un precedente tempio di religione italico-romana.
Tale tempio, cui era annesso un ponderarium, sorgeva nel pagio italico di Interpromio.
E secondo molti l’ascendenza italica del sito sarebbe da rintracciare anche nel toponimo Casauria, che potrebbe derivare da “Casa Aurea”, ipotetico nome del tempio. Un’altra ipotesi fa derivare Casauria da “Casa Urii”, indicando quindi un tempio dedicato a Giove Urio, Giove portatore di venti.

Il riutilizzo in epoca altomedievale degli stessi materiali edilizi di antecedenti luoghi di culto politeisti di epoca italico – romana (su cui venivano edificate le chiese cristiane o se smantellati, con i cui materiali venivano ricostruiti i nuovi edifici di culto solitamente dedicati alla Madonna o ai Santi), ha una valenza non solo meramente pratica, in quanto i ridotti traffici commerciali nei primi secoli del Medioevo rendevano difficile procurarsi materiali di tale qualità, ma anche un’importanza simbolica, in quanto è veramente affascinante pensare che riti e culti ancestrali che affondano spesso nella Preistoria, si sono sincretisticamente tramandati e conservati in epoca cristiana, nel rispetto della tradizione italico – romana, a tal punto che funzioni e competenze delle divinità classiche, sono state trasferite ai Santi che hanno preso il posto degli Dei e dalle Madonne che hanno ripreso il posto delle Gran Madri Italiche (ad esempio Santa Maria Arabona della Dèa Bona, La Madonna della Libera della Libera e via dicendo). In tale ottica, di continuità fra Prisca Religio e Cristianesimo ( per cui il Cattolicesimo Romano sarebbe in pratica in gran parte il risultato delle contaminazione della religione tradizionale italico – romana con la nuova fede abramitica monoteista proveniente dall’Oriente, così come la religione del Pantheon Romano di Età Classica, era il frutto della sincretica commistione e assimilazione fra i culti e le divinità di ogni parte dell’Impero Romano), ruolo importante hanno i siti dove sorgevano i templi, gli oggetti e le pietre dei templi stessi, che assumono un valore sacro pressoché magico, legato alla presenza della divinità che cambia il nome, l’appellativo ma resta sempre la stessa.

Consacrato a regola bee nedettina, il cenobio si affermò sul finire dell’800 come baluardo meridionale dell’impero franco, attraversando tuttavia negli anni fortune alterne. Un primo restauro venne eseguito nel 951 a seguito delle devastazioni operate dalle incursioni saracene nella Val Pescara, che non risparmiarono l’Abbazia. Nel 990, però, un violento terremoto provocò ingenti danni e nel 1025 fu necessaria una parziale ricostruzione. Il secolo successivo fu difficile, caratterizzato da frequenti spoliazioni. La rinascita è a partire dal 1105, quando il complesso viene fatto riconsacrare dall’abate Grimoaldo e interessato da ingenti lavori di restauro, voluti dall’abate Leonate, che conferirono all’Abbazia l’aspetto che conserva ancora oggi.

I secoli successivi vedono San Clemente a Casauria colpita duramente dai frequenti terremoti e dalle vicende belliche che si susseguono. Tuttavia il valore monumentale e storico-artistico della costruzione non tarda ad essere riconosciuto e, nel 1894, l’Abbazia viene dichiarata monumento nazionale italiano, restaurata e fatta oggetto di preservazione e valorizzazione.

A livello architettonico, l’Abbazia di San Clemente a Casauria si presenta a schema longitudinale a tre navate con transetto, coro e portico. Su quest’ultimo, realizzato con una successione di campate a crociera, si aprono tre archi che ospitano i portali, tutti impreziositi da decori e figure in cui è possibile scorgere un richiamo al gotico arcaico. Oggi risulta perduta la torre campanaria, crollata nel 1703, di cui conserviamo solo la base costituita da blocchi in tufo.

All’interno spiccano, nella navata centrale, il pulpito risalente al XII secolo, decorato con ricercati fregi e il candelabro per il cero pasquale.
Il ciborio d’altare risale ad epoca trecentesca ed è ricavato da un sarcofago paleocristiano. A pianta quadrata, è decorato con motivi floreali e sorretto da quattro colonne con in cima una terminazione piramidale.

Di grande fascino la cripta, accessibile dal presbiterio, che rappresenta la parte più antica del cenobio. È in questo ambiente che riscontriamo il maggior riutilizzo di materiale più antico, come le colonne romane. Tra i materiali più antichi, è possibile notare una colonna militare che reca l’iscrizione in ricordo degli imperatori Valentiniano I, Valente e Graziano per il restauro della Via Claudia, databile intorno al 360 d.C.

Cristiano Vignali e Claudia Falcone – Discovery Abruzzo Magazine