La storia del Capitano José Borjes, catturato a Sante Marie, fucilato a Tagliacozzo, vissuto da eroe e morto da brigante

Il legittimista capitano Jose Borjes
Il legittimista duosiciliano, capitano Jose Borjes (Wikipedia)

La storia di José Borjes, fucilato a Tagliacozzo, vissuto da eroe e morto da brigante.

(DAM) Abruzzo – Non è stato scritto molto sullo spagnolo José Borjes; in Italia, probabilmente ancora sconosciuto ai più, fa la sua comparsa più importante nella cultura di massa attraverso l’interpretazione di Francesco Mazzini, in un film di Pasquale Squitieri intitolato Li chiamarono… briganti! (1999).

Ad oggi, tuttavia, il diario personale di Borjes, pubblicato per la prima volta in francese nel 1862 da Marc Monnier, dimostra ancora la sua rilevanza essenziale, al fine di chiarire dinamiche politicamente strategiche per la giovane Italia e del brigantaggio postunitario.

Partiamo, però, dal principio; José Borjes nasce a Vernet, in Catalogna, nel 1813. Figlio di un ufficiale dell’esercito, fucilato durante la Prima Guerra Carlista, intraprende giovanissimo la carriera militare e, seguendo le orme paterne, si arruola nelle milizie carliste di Don Carlos. Dopo la disfatta dei carlisti, nel ’49, Borjes esilia in Francia, dove impegna il proprio tempo nell’improbabile occupazione di rilegatore, precettore e commerciante di vini; fin quando non verrà contattato nuovamente dagli agenti borbonici del generale Tommaso Clary, il quale meditava di poter riconquistare il Regno delle Due Sicilie approfittando delle evidenti difficoltà presenti nel nuovo stato unitario, in particolar modo concentrate nelle province meridionali reticenti alla rinnovata legalità. In poche parole, il compito affidato a Borjes si concretizzava nell’attuazione di uno sbarco nel sud Italia, a capo di una piccola spedizione militare, prevedendo in seguito il coinvolgimento del brigantaggio attivo, la cui collaborazione avrebbe portato in breve tempo a sollevare in rivolta tutto il meridione, così permettendo il ritorno della dinastia borbonica sul trono di Napoli.

Borjes, inizialmente dubbioso sulla riuscita della missione, si convince alla partenza, persuaso dalle promesse di Clary; ovvero la presenza di un centinaio di uomini ad aspettarlo in Italia, tra comitati borbonici e ribelli, e la dotazione di armi moderne. Tuttavia, la spedizione viene inaugurata sotto i peggiori auspici: Borjes s’imbarca a Marsiglia con soli 17 combattenti, giunge prima a Malta, e poi finalmente a Capo Spartivento, in Calabria, tra il 13 e il 14 settembre del 1861; ma la situazione non migliora, poiché qui non ci sarà nessuno ad attenderlo, come invece garantito dal suo mandante.

Le popolazioni locali appaiono diffidenti, se non addirittura ostili. Così, verso la fine del mese, il generale catalano è costretto ad unirsi al brigante Ferdinando Mittica, ex ufficiale dell’esercito borbonico, dirigendo una serie d’attacchi inconcludenti verso il comune di Platì. A questo punto, appare davvero chiaro l’inganno di Clary, poiché Borjes non si è mai davvero trovato nella condizione di capitanare una regolare spedizione militare, ma ha sempre dovuto accontentarsi nel “briganteggiare” sottostando alle genti calabresi. Per questo motivo, per molto tempo, l’opinione più diffusa fece di José Borjes un semplice brigante.

Abbandonato da Mittica, Borjes decide di dirigersi in Basilicata, con la speranza di trovare una situazione più ottimistica. Il 22 ottobre, il generale catalano e i suoi pochi uomini vengono accolti nei boschi di Castel Lagopesole da Carmine Crocco, il capo di una delle bande più temute di quel periodo. Il motivo di quest’incontro era quello di progettare la presa di Potenza, la maggiore roccaforte sabauda della regione; tuttavia, l’accordo non faceva auspicare ad una collaborazione duratura. Borjes, difatti, resta pur sempre un militare regolare e la sua idea di guerra civile prevede un esercito ben organizzato e disciplinato, col presupposto di conquistare stabilmente grossi centri, come Potenza, per proclamarvi la restaurazione borbonica. Crocco, invece, di formazione partigiana, a capo di contadini in armi, limitava le sue azione alla guerriglia e al tormento dei ricchi possidenti.

Il 3 novembre, i due capi tentano la presa di Potenza, ma l’avanzata dei briganti viene arrestata a Trivigno dalla Guardia Nazionale. Lo scontro è particolarmente sanguinoso, l’esercito ribelle ne esce vittorioso, ma ormai ridotto allo stremo; così Crocco decide di ritirarsi a Monticchio, rompendo la sua alleanza con Borjes, mentre quest’ultimo, amareggiato e con soli 22 uomini al seguito, comincia la sua fuga verso Roma, con l’intento d’informare dell’accaduto Francesco II, ultimo re delle Due Sicilie, e nel tentativo di riorganizzare una nuova spedizione di volontari.

Dopo una marcia molto rischiosa, costantemente inseguiti dalle truppe regie, Borjes e i suoi uomini, decisamente esausti, decidono di concedersi una sosta rischiosa, a soli 4 km dai confini dello Stato Pontificio. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1861 scende la neve a Sante Marie, mentre i soldati ribelli trovano riparo presso la cascina Mastroddi, in località Valle di Luppa. Sarà questa una decisione fatale; probabilmente tradito dalla propria guida locale, Borjes viene circondato dalla guardia nazionale santemariana, insieme alle forze militari piemontesi guidate dal maggiore Enrico Franchini. Quest’ultimo nel verbale ufficiale n.450, redatto il 9 dicembre 1861, riporta tutti i passi salienti dello scontro a fuoco avvenuto nel corso della notte precedente, compreso il fatto che Borjes, una volta sconfitto e fatto prigioniero, volle consegnare la propria spada esclusivamente nelle mani del comandante avversario.

Nel 1966, il comune di Sante Marie appose un cippo commemorativo nel luogo della battaglia, nel quale si esaltavano il comandante Franchini, il quale per la cattura di Borjes ed i suoi uomini aveva ricevuto una Medaglia d’oro al valor militare, e le guardie nazionali di Sante Marie «fidenti nell’Unità d’Italia». Questo cippo è stato poi rimosso e sostituito da un’associazione “monarco-borbonica”, con un nuovo monumento inneggiante al martirio dell’eroe Borjes. Ogni anno, al fine di rinnovarne la memoria, un piccolo gruppo di questa associazione rievoca l’epoca della sua morte con costumi e canti tipici.

Dopo la cattura, i ribelli vengono condotti a Tagliacozzo. Alle ore quattro del pomeriggio, dello stesso 8 dicembre, vengono tutti giustiziati per fucilazione, senza alcun processo. Davanti al plotone d’esecuzione, Borjes abbraccia i suoi uomini intonando una litania in spagnolo, poi impietosamente interrotta dai colpi di fucile.

L’opinione pubblica del tempo reagì aspramente alla fine di José Borjes, trattato come semplice brigante, ucciso senza processo e poi gettato in una fossa comune; anche se la sua salma fu in seguito recuperata per ricevere esequie solenni a Roma. Tanto che la sua morte passa alla Storia come la prima sanguinosa macchia del neofita governo italiano.

Ancora oggi, è sempre maggiore il numero delle associazioni culturali che operano con l’intento di restituire il dovuto rispetto a questo personaggio contemporaneo, a cui venne affidato un’importante ruolo strategico, essenziale per la riconquista borbonica. E se la storia non fosse stata scritta dai vincitori, nessuno avrebbe negato a Borjes i valori di un uomo per bene, leale alla propria causa e al proprio sovrano, tollerante di fronte all’inganno e fonte di consolazione per i propri soldati. Un uomo che muore con queste parole sulle labbra: «noi siamo all’ultimo istante, moriamo da bravi».

Ilaria Catani

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