Grandi Madri, la situazione dei culti nell’Abruzzo antico

(DAM) Abruzzo – Per la rubrica “Abruzzo History” una panoramica sui culti delle Grandi Madri diffusi in Abruzzo in epoca pre-romana.

La sacralità nell’antico Abruzzo

Come sappiamo, la nostra regione vanta una storia millenaria e ricca di tradizioni antiche, risalenti alle epoche precedenti all’influenza romana.

Le popolazioni italiche che abitavano l’Abruzzo avevano una sacralità spiccata e vivace e veneravano divinità fortemente specializzate e connotate con la natura, legate a doppio filo con la dimensione terrena.

Tra i culti più radicati nel territorio, senza dubbio quello della Grande Madre, divinità legata alla natura, ai cicli che la caratterizzano e alla fertilità della terra.

Si tratta di un elemento comune a tutte le religioni antiche dell’area mediterranea preromana e che avrà seguito poi anche nella religione latina, con le figure di Cerere, di Bacco e di Proserpina.

Tralasciando Roma e le sue tradizioni e facendo un passo indietro alle popolazioni italiche precedenti, la religiosità di queste etnie è costellata di Grandi Madri: i nomi cambiano, naturalmente, ma le caratteristiche sono comuni a tutta la serie di Dee Madri che troviamo nell’Appenino preromano e, di conseguenza, anche nell’Abruzzo osco-sabellico.

Scopriamo in che modo i sottogruppi etnici abruzzesi hanno declinato il culto della Grande Madre nelle varie aree geografiche che occupavano.

Bona Dea

Presso i Marrucini, presenti nell’area che oggi si estende tra le città di Chieti e Guardiagrele, è attestato il culto di Bona Dea, antica divinità venerata anche nel Lazio, dove troviamo diversi reperti che ne testimoniano l’adorazione. Tracce del suo culto sono riscontrabili anche tra i Frentani, la popolazione che occupava il sud della regione, tra le attuali Lanciano e Vasto.

Nonostante le fonti antiche lascino poche informazioni sui dettagli, sappiamo comunque che Bona Dea era una divinità molto considerata tra i Marrucini, che le dedicarono templi importanti.

È interessante la testimonianza che ci lascia la frazione di Santa Maria Arabona a Manoppello (PE). Qui sorgeva un luogo di culto o un vero e proprio tempio dedicato proprio a Bona Dea, come ci ricorda anche il toponimo Arabona (da Ara e Bona: altare di Bona). Oggi, in continuità con la sacralità del luogo, nell’area sorge l’Abbazia di Santa Maria Arabona.

Cerfia

Sempre in area marrucina abbiamo importanti testimonianze archeologiche del culto di un’altra delle Grandi Madri: Cerfia.

Nella zona di Rapino (CH), infatti, è stato rinvenuto quello che è stato un vero e proprio santuario marrucino, la Grotta del Colle.

Proprio all’interno della Grotta del Colle è stata rinvenuta una statuetta, ribattezzata “la Dea di Rapino”. Assieme all’icona, anche la descrizione dettagliata del culto della divinità, riportato in quella che viene ricordata come la Tabula Rapinensis, una lamina di bronzo, di 15 cm per 15 cm, che riporta in idioma marrucino una legge sacra legata ai culti di Giove e di Giovia (il nome con cui veniva chiamata la Dea Cerfia).

Feronia

Nell’area in cui oggi si estende il Parco Nazionale del Gran Sasso anticamente abitavano i Vestini, distinti in Vestini cismontani (quelli del versante occidentale) e Vestini transomontani (versante sud-orientale).

Tra queste popolazioni era fortemente radicato il culto di Feronia, divinità dei boschi, delle messi e della fertilità, onorata successivamente anche dai latini.

L’archeologia ci ha restituito testimonianze del culto della Dea su entrambi i versanti. A Loreto Aprutino (PE), precisamente in località Poggio Ragone, è stato rinvenuto un tempio italico-romano dedicato a Feronia e risalente al I secolo.

Si tratta di resti molto ben conservati, poiché circa alla metà del III secolo il tempio è stato seppellito da una frana, che lo ha così preservato dal trascorrere del tempo fino al ritrovamento, avvenuto tra il 1992 e il 1994.

Sull’altro versante, gli scavi archeologici effettuati ad Amiternum, vicino L’Aquila, hanno di recente riportato alla luce i resti di un tempio dedicato a Feronia, anch’esso risalente al I secolo a.C.

Angizia

Il culto della Dea Angizia, legata alla fertilità e ai serpenti, risulta particolarmente diffuso tra le popolazioni appenniniche e, in Abruzzo, era presente tra i Marsi (nell’area dell’attuale Marsica), i Peligni e i Sanniti.

Angizia, il nome marsicano attribuito alla divinità e mantenuto successivamente anche dai romani, ci ricorda il legame con i serpenti: deriva infatti da “anguis”, che significa, per l’appunto, serpente.

Tra i Peligni era nota come Anaceta, mentre i Sanniti la chiamavano Anagtia.

Interessanti attestazioni del suo culto in Abruzzo ci derivano da Luco dei Marsi (AQ): qui, nel bosco sacro, è stata rinvenuta una sua statua insieme ai resti dell’area sacra, marsicana e poi romana, di Angizia Luco, risalente al III – I secolo a.C.

Ancora oggi, inoltre, l’eredità dei riti propiziatori dedicati ad Angizia e legati ai rettili, sopravvive nella Festa dei Serpari di Cocullo (AQ), che ricorre ogni anno il primo giovedì di maggio (anche se a partire dal 2012 è stata resa una ricorrenza fissa che cade il 1 del mese) e che, nella religione cristiana, è stata associata a S. Domenico Abate.

Sicinna

Se ci spostiamo nella zona della Valle Subequana, dove oggi sorge il parco regionale del Sirente – Velino, anticamente area di influenza dei Peligni Subequani, il culto più diffuso diventa quello di Sicinna.

Ninfa del corteo di Bacco, fino all’avvento del cristianesimo Sicinna era venerata nei boschi sacri del Sirente, nonostante nel 186 a.C. il Senato romano ne avesse vietato il culto per via delle danze orgiastiche (Sicinnide), che erano in contrasto con il Mos Maiorum.

Testimonianza vivente della popolarità della dea nell’area è nel borgo di Secinaro (AQ), che già nel toponimo si dimostra legato a doppio filo al culto di Sicinna. La presenza di un laghetto di origine meteorica nel paese ha nei secoli alimentato una leggenda ancora tramandata a voce dalla gente del posto.
Secondo la tradizione, infatti, lo specchio d’acqua sarebbe stato creato dall’impatto della cometa vista da Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio. Il corpo celeste si sarebbe schiantato proprio in quest’area dell’appennino centrale, distruggendo nell’impatto un altare dedicato a Sicinna.

Opi

Tra i Sabini, popolazione del Lazio che occupava anche l’area abruzzese strettamente confinante, la divinità arcaica più venerata era Opi, sposa di Saturno e legata all’abbondanza e alla fecondità.

Testimonianza della diffusione del suo culto è già nel toponimo del borgo di Opi (AQ), nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise.

Già da questa breve panoramica, dunque, è evidente come il culto delle Grandi Madri fosse fortemente radicato nell’Abruzzo preromano e come rivestiva un’importanza fondamentale per i suoi legami con l’abbondanza e la fecondità della terra. Importanza che sarebbe poi stata conservata con una funzione di primo piano in tutta la religiosità romana.

Fonte: La sacralità della terra: le Grandi Madri italiche dell’Appennino Centrale, Saturnia Tellus, Cristiano Vignali.

Claudia Falcone – Discovery Abruzzo Magazine