SALUTE MENTALE E SUICIDIO: PARLARE DI DISAGIO PSICHICO OGGI a cura di Paola Compagno

Dott.ssa Paola Compagno Psicologa Psicoterapeuta

(DAM) Avezzano – Il 10 ottobre 2019 si è celebrata la giornata mondiale della salute mentale in cui si cerca di
sensibilizzare la popolazione sulle malattie mentali. I disturbi mentali continuano ad aumentare e
ciò crea un forte impatto sulla salute, sugli aspetti umani, sociali ed economici in tutti i paesi del
mondo. Il disagio psichico non viene riconosciuto come una vera malattia e rimane avvolto in un
alone di pregiudizio. I disturbi mentali, ancora oggi, non sono posti sullo stesso piano delle
patologie fisiche. Il forte stigma sociale porta la persona a non richiedere le cure necessarie per
paura del giudizio altrui e per le scarse informazioni.
Quest’anno la giornata mondiale della salute mentale è stata dedicata alla prevenzione del suicidio; si
parla sempre poco di suicidio, soprattutto rispetto al suicidio tra i giovani.
Shneidman considera il suicidio come un movimento di allontanamento da un dolore
insopportabile o da una forte angoscia e non di un desiderio di morte. Il suicidio non è un atto
impulsivo, come spesso si crede, la persona non decide improvvisamente di mettere fine alla propria
esistenza, ma spesso è un atto meditato nel tempo. Il soggetto non riesce più a trovare uno scopo di
vita, percepisce il proprio disagio interiore come intollerabile e arriva, quindi, a sentirsi “in-
aiutabile”. La persona ritiene che la sua situazione sia immodificabile e non riuscendo più a
tollerare il dolore, decide che il suicidio sia l’unica scelta possibile. La persona si sente senza via
d’uscita. Inoltre, la decisione di togliersi la vita caratterizza ciascun individuo con motivazioni
uniche e diverse dagli altri.
Un aspetto da prendere in considerazione in questi ultimi tempi in cui la società è notevolmente
cambiata rispetto al passato, è il concetto di solitudine. Innanzitutto, bisogna fare una distinzione tra
solitudine, loneliness e isolamento sociale: per solitudine s’intende lo stare da soli senza la
percezione dell’isolamento, il soggetto ricerca uno stato di riflessione e tranquillità; l’isolamento
sociale è caratterizzato dall’assenza dell’interazione con gli altri, proprio come aspetto
comportamentale, invece, per loneliness s’intende il sentimento “dell’essere solo”: percezione
soggettiva di discrepanza tra le relazioni desiderate e quelle vissute, mancanza di prospettive,
chiusura in sé stessi, incapacità di dare significato alle cose, sentimenti intensi di dolore.
Il soggetto si sente “senza speranza” (hopelessness), non crede più di poter ricevere aiuto dall’altro,
e soprattutto, non spera più in sé stesso. È possibile ipotizzare, quindi, il passaggio da una
condizione di loneliness a uno stato depressivo; in particolare, il soggetto non si ritiene più in grado
di far fronte ai problemi, inizia a sprofondare nell’impotenza, è privo di risorse, si sente apatico e
inerme.
La depressione, la paranoia e i disturbi di personalità sono le psicopatologie che maggiormente
portano le persone a pensare al suicidio.
Il suicidio è la seconda causa di morte tra i dieci e i diciannove anni e risultano più a rischio i
maschi tra i dieci e i vent’anni. Da una ricerca è emerso che in età adolescenziale un ragazzo su
tredici ha tentato il suicidio.
Gli adolescenti a rischio di suicidio presentano una forte ambivalenza sia sul vivere o morire, sia sul
farsi aiutare o negare tale aiuto, quindi, i repentini cambiamenti di idea tra il farsi aiutare e rifiutare
il sostegno creano evidenti difficoltà a chi cerca di dare loro un appoggio.
I fattori di rischio di suicidio sono: fattori genetici, basso livello socio-economico, problemi
familiari, abuso fisico, depressione e abuso di sostanze.
Anche il gioco d’azzardo, il bullismo e il cyberbullismo rappresentano dei fattori di rischio molto
importanti per le condotte suicidarie. In particolare, gli adolescenti che subiscono episodi di
cyberbullismo tendono a cercare aiuto meno frequentemente rispetto a chi subisce episodi di
bullismo diretto; infatti, in questo caso, i sintomi depressivi e il rischio di suicidio sono maggiori.
Da alcuni studi è emerso che la resilienza è un fattore protettivo molto importante per la
prevenzione del suicidio. La resilienza è la capacità di affrontare e tollerare eventi frustranti
mantenendo un buon livello di adattamento ed equilibrio personale e psicologico.
La resilienza è caratterizzata da capacità personali, risorse sociali e familiari; questi aspetti possono
ridurre il rischio di suicidio e proteggere la persona quando si trova in un momento difficile.
Fondamentali nella prevenzione del suicidio sono: lo sviluppo di una buona comunicazione tra il
soggetto e le persone di riferimento, il rafforzamento dell’autostima e lo sviluppo dell’espressione
delle emozioni.
Ovviamente, per prevenire il suicidio, oltre le caratteristiche personali e una forte motivazione, sono
fondamentali anche la rete sociale, come le istituzioni e un favorevole ambiente familiare. Solo
attraverso un approccio multidimensionale è possibile migliorare la qualità di vita di ognuno. In tal
senso, per ridurre lo stigma sociale legato ai comportamenti suicidari e, più in generale, ai disturbi
psichiatrici possono essere utili: campagne di prevenzione del disagio psicologico e maggiori
informazioni rivolte alla popolazione. Quindi, parlare del disturbo mentale come di una malattia è
essenziale per aiutare la persona che si sente sola, disperata e senza speranza. E questo deve essere
fatto, soprattutto, attraverso i mezzi di comunicazione e la scuola.

Paola Compagno
Psicologa psicoterapeuta
Info: www.paolacompagnopsicologa.it

Per approfondimenti:
CLERICI C.A., GENTILE G., MARCHESI M., MUCCINO E., VENERONI L., ZOJA R. (2016).
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