L’antico culto di Anna Perenna

Le origini del culto di Anna Perenna


(DAM) Roma – Una manciata di giorni fa abbiamo ricordato le celeberrime idi di Marzo, una data
importante dell’antico calendario romano. Il 15 Marzo è un giorno divenuto storicamente
celebre perché fu quello in cui venne assassinato Giulio Cesare, a seguito della famosa
congiura portata avanti da un gruppo di senatori nel 44 a.C. Non molti, tuttavia, sono a
conoscenza che nel medesimo giorno ricorrevano, nell’antica Roma, le celebrazioni in onore
della dea Anna Perenna. Ella è una divinità antica di cui poco si conosce e quel poco è
avvolto nel mistero.
Il poeta Ovidio ci ha lasciato alcune versioni del mito di Anna Perenna per spiegarne le
origini: la prima la identifica con la sorella della regina cartaginese Didone, Anna, che dopo
il tragico trapasso di questa, per sfuggire al fratello Pigmalione, trovò accoglienza a Malta,
presso la corte del Re Batto. Costretta, però, a prendere di nuovo il mare, fece naufragio
sulle coste dell’attuale Lazio e venne ospitata da Enea. La moglie dell’eroe troiano, Lavinia,
s’ingelosì e la perseguitò a tal punto che la sciagurata Anna si trasformò in fiume. Divenuta
ninfa delle acque, fece udire in perpetuo la sua voce con le “onde perenni” (in latino amnis
perennis) e da cui l’origine del suo nome.
L’altra versione vede in lei un’anziana della città di Bouville che soccorse i plebei romani
ribelli assediati sul Monte Sacro nel 494 a.C., sfamandoli ogni giorno con le focacce che
impastava con le sue mani.
Altri ancora la considerano una precedente divinità etrusca della terra.

I festeggiamenti in suo onore


Qualunque sia la sua origine, questa dea romana presiedeva al corso dell’anno, ed era una
personificazione femminile che incarnava il perpetuo ritorno.
Nel suo stesso nome si intravede, infatti, un suo rapporto con il principio e la fine dell’anno.
A lei, infatti, si prega “ut annare perennareque commode liceat” (Macrobio, Saturn. I, 12,
6): dove per “annare” si deve intendere l’entrare nel nuovo anno e col “perennare” il
condurre a buon fin quello uscente. Per questo, appunto, la sua festa cadeva alle idi di
Marzo, nel primo mese, cioè, dell’antico anno civile, ed aveva carattere gaio e spesso

licenzioso, come celebrazione del rinnovarsi dell’anno.


Tale celebrazione consisteva in ampi e ricchi banchetti all’aperto, allestiti presso la riva
destra del Tevere. In questi spazi si ballava e si cantava a tutta voce storielle oscene, si
beveva senza limiti (dal momento che la credenza diffusa era quella di poter aggiungere alla
propria vita tanti anni quante coppe di vino si riuscivano a mandare giù) e si consumavano
atti sessuali.
Inoltre, doveva svolgersi una qualche competizione in cui partecipavano anche le donne e
che poi dava diritto alla nomina di un vincitore, il quale riteneva di dover ringraziare le
Ninfe offrendo doni.
Il sacro lucus si vedeva dall’alto del Gianicolo, come attesta Marziale con i noti versi: “et
quod virgineo cruore gaudet, Annae pomiferum nemus Perennae” (IV, 64, 16).
La sua festa era comunque una data che faceva iniziare ufficialmente la primavera e quindi
era un augurio alla buona stagione contadina visto che la Dea era di sicuro un simbolo
naturistico e probabilmente il suo culto affonda le radici più profonde nel sistema contadino
che tanto influì sull’Urbe.


Maria D’Argento – Discovery Abruzzo Magazine