Il Vate Gabriele d’Annunzio e le sue imprese eroiche


Gabriele d’Annunzio e le sue imprese eroiche

Beffa di Buccari, i principali protagonisti da sinistra verso destra: Luigi Rizzo, Gabriele d’Annunzio, Costanzo Ciano.

(DAM) Pescara – Sono molte le imprese militare nelle quali Gabriele D’Annunzio mostrò spirito d’iniziativa e coraggio che gli valsero il soprannome di “Poeta Soldato”.

Fra tali imprese si annoverano, ad esempio: i voli su Trento e Trieste, dove nel 1916 perse anche un occhio in un atterraggio forzato; le incursioni aeree su Cattaro e Pola nel 1917; la beffa di Buccari, il volo su Vienna del 1918 e, ovviamente l’impresa di Fiume che probabilmente fu l’apice della sua carriera politica.

Così il Vate fu protagonista nella Prima Guerra Mondiale, cavalcando nel primo dopoguerra il mito della “vittoria mutilata” che lo portò nel settembre del 1919 ad occupare Fiume alla testa di un gruppo di legionari, dove rimase quale “Comandante” fino al “Natale di sangue” dell’anno successivo, inaugurando anche una tecnica mimica coreografica che fu poi appresa e messa a frutto da Mussolini più risoluto e spregiudicato del Vate.

Unitosi al tenente pilota Giuseppe Miraglia, volò su Trieste, a bordo di un apparecchio contrassegnato dal motto “Iterum leo rugit” (di nuovo rugge il leone di San Marco in questo caso), lanciò manifestini tricolori che rincuoravano le popolazioni in attesa: “Coraggio, fratelli! Coraggio e fede! Vi state avvicinando alla fine del vostro martirio”.

Quelli lanciati su Trento, invece, proclamavano a quella popolazione: “Oggi il pugno bronzeo di Dante si stringe sul tuo capo chino, o popolo di Trento. Sorgi e leva lo sguardo… Il nostro amore, armato di tutto punto, avanza contro la compattezza delle tue rocce e dei tuoi ghiacciai…”. Successivamente volò in maniera ripetuta sul Trentino, sul Carso, sulla costa istriana e su Pola, insieme a piloti a cui ordinò di lanciare un grido, inventato da egli stesso, destinato a diventare, di lì a non tanti anni, celebre in tutto il Paese, perché ripreso dai fascisti: “Eia Eia Alalà”. La guarigione in seguito all’incidente che gli causò la perdita dell’occhio destro fu lenta; ma, non appena era in grado di uscire, Gabriele chiese subito di tornare all’azione, proprio nei giorni in cui l’Italia era scossa dalla notizia della cattura e dell’impiccagione di Fabio Filzi e Cesare Battisti.

Il 13 Settembre 1916, con un occhio bendato, si gettò al bombardamento aereo di Parenzo con il pilota Luigi Bologna, che manovrò in mezzo alla foschia con perizia rara. Quest’impresa gli valse la citazione dal Ministero della Marina. Il Vate narra che quando giunsero a tiro, egli tolse le spine dalle sue bombe da gamba, e provò a ridurre la sua sorte e il nemico al silenzio. E quando calarono nel canale di Sant’Andrea e rimontarono lo scivolo, gli sembrò che i suoi giovani compagni che attendevano, nel sollevarlo sopra le loro spalle, lo esaltassero all’apice delle loro ali e alla cima della loro gioventù.

Il poeta era rinato. Da allora, fino all’estate del 1917, egli condivise la vita di trincea con i fanti: gli piaceva mettersi in contatto con gli umili e sentirne l’anima semplice e rude, soprattutto se gli capitava di incontrarsi con qualche conterraneo. In quell’anno, il Vate partecipò anche alla decima battaglia dell’Isonzo, che doveva portare i soldati sulle vette del Vodice e del Monte Cucco ed arrivare fino alle foci del Timavo sfondando le linee nemiche. Qui, il 23 Maggio 1917, venne impegnata un’altra battaglia che prese il nome dal corso d’acqua, nella quale venne portata a compimento l’idea che D’Annunzio propose di sostenere l’assalto della fanteria coi bombardieri dal cielo. Al momento dell’attacco, gli aerei si levarono in volo, accrescendo coraggio ed impeto ai fanti lanciati all’assalto; il 28 Maggio la vittoria arrise alle schiere italiane, seppure con tante perdite.

Il 22 Luglio Gabriele dichiarò dunque: “Compagni, la Vittoria torna sul cielo e vi resta” ed anche: “Io vi dico che l’arma nuovissima, l’ultima venuta, deciderà le sorti, dividerà il nodo tremendo.

La base navale di Pola la bombardò a più riprese ad Agosto 2017 a capo di 36 velivoli, nell’ardore di combattere e deciso ad osare oltre ogni limite; pochi giorni dopo, si lanciò sul cielo del Carso per proteggere le linee italiane che avanzavano nella valle di Chiapovano: scese basso sulle linee nemiche da cui tornò non solo con una ferita leggera al polso ma anche con l’aereo bucherellato. Diceva che la morte sfugge colui che la cerca. Quest’atto eroico gli valse la promozione a maggiore.

La base navale di Cattaro, che era difesa da postazioni antiaeree formidabili, rappresentava continuamente una minaccia per le coste italiane che bisognava dunque eliminare: il poeta volò su Cattaro il 5 Ottobre 1917 a capo di una formazione di 15 biplani, e ne ritornò incolume. L’impresa che passò alla Storia con il nome di “Beffa di Buccari” è ricordata come quella più eroica di Gabriele d’Annunzio, che quest’ultimo compì nella notte tra il 10 e l’11 Febbraio 1918. Il suo scopo era infliggere un colpo grave alla Marina Austriaca, che dall’inizio del conflitto se ne stava annidata nei porti, affondando qualche sua nave da guerra all’ancora.

Una nuova impresa prodigiosa, per la quale il Vate ricevette la medaglia d’oro, fu il volo su Vienna. Tale volo l’aveva ideato sin dal 1915, ma aveva sempre avuto l’impossibilità di effettuarlo a causa di impedimenti di vario tipo, soprattutto in quanto i comandi ritenevano che un volo di 1000 chilometri di cui 800 su territorio nemico, con aerei scarsamente autonomi, non fosse possibile. Superato ogni ostacolo e in seguito ad una revisione dettagliata degli aerei assegnatigli, 8 ricognitori SVA (Savoia – Verduzio – Ansaldo) della squadriglia “La Serenissima”, d’Annunzio poté volare su Vienna il 9 Agosto 1918 ( il 4 Settembre dell’anno precedente ne aveva compiuto un altro di 10 ore senza problemi particolari); gli apparecchi assegnatigli erano veloci e dotati di grande autonomia. Non fu semplice in quanto i velivoli dovettero affrontare difficoltà atmosferiche notevoli; vicino a Vienna si abbassarono a meno di 800 metri, ed iniziarono a lanciare non bombe, bensì manifestini tricolori, a centinaia di migliaia. Tali manifestini proclamavano, in tedesco: “VIENNESI! Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi Italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni. VIENNESI! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai Generali Prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola. POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! VIVA LA LIBERTÀ! VIVA L’ITALIA! VIVA L’INTESA!”.

Veronica Tieri – Discovery Abruzzo Magazine