C’era una volta in Abruzzo: la strega. Racconti davanti il camino.

C’era una volta in Abruzzo: la strega. Racconti davanti il camino.

(DAM) Abruzzo – I racconti dei nonni della campagna d’Abruzzo, narrati davanti al camino nelle notti d’inverno.

L’inverno nell’entroterra abruzzese sa essere particolarmente rigido, costellato di notti buie e vorticose tempeste di neve. Per rischiarare le serate più gelide, era usanza riunirsi nelle case dei nonni, davanti ad un camino acceso in grado di rallegrare e scaldare l’atmosfera e di far dimenticare per un po’ il vento artico che soffia prepotente fuori.

Le famiglie abruzzesi ai tempi erano numerose e chiassose, formate da torme di bambini vocianti, tutti fratelli e cugini. Il loro chiacchiericcio allegro riempiva ogni casa di vita, quasi come se fosse in corso una vera e propria festa. D’altra parte, proprio i più piccoli godevano delle maggiori libertà in queste occasioni: andare a casa dei nonni per trascorrere la serata significava mangiare piatti che sanno di casa e stare alzati fino a tardi. Una vera pacchia!

E non solo, la marea festante di bambini era anche la prima ad essere servita, in modo da arginare un po’ il chiasso che inondava la casa. La serata iniziava proprio con la cena, a base di piatti tipici della tradizione: sagne, patate e fagioli, magari, serviti caldi caldi direttamente dal camino, ancora fumanti e adagiati su un giaciglio di erbe secche, che aveva il compito di tenere fermo il recipiente e preservare il pavimento dal suo calore ardente.

Il cibo era versato a generose mestolate, in porzioni sempre colme di squisitezza fumante. Nessuno aspettava che tutti fossero stati serviti, tantomeno che il piatto si raffreddasse. I più voraci, nemmeno a dirlo, erano i bambini, che ingaggiavano una avvincente gara a chi era più veloce. Inutile sottolineare come spesso la competizione terminasse per lo più con rovinosi rovesciamenti di cibo sul tavolo nudo, vissuto e ricco di storia.

Gli adulti, invece, riuscendo nel difficile compito di ignorare il clamore provocato delle sfide dei loro figli, si godevano la convivialità del pasto senza affrettarsi, alternando le cucchiaiate a chiacchiere e racconti, incomprensibili quanto poco interessanti per i più piccoli.

Nessun pasto sarebbe completo senza il degno dessert e infatti, a fine cena, la nonna, come in una fiaba, si addentrava nella caverna posta dietro la cucina, che fungeva da dispensa, per uscirne armata di mele, noci e sorbe, che lei stessa aveva diviso a metà nei mesi precedenti per inanellarle a mò di ghirlanda alle finestre, in modo che seccassero alla luce del sole.

Finalmente sazi, arrivava l’ora dei giochi, semplici quanto scatenati: i bambini, si sa, prendono molto seriamente la questione gioco e non è raro che si finisca in pianti dirotti e liti furibonde perché qualcuno ha vinto con l’imbroglio.
Per fortuna esistono i nonni, sempre in grado di riportare la pace radunando i bambini intorno al fuoco.
Non si sa come succeda ma quel che è certo è che quando un nonno o una nonna si siedono al camino e iniziano a raccontare le loro fiabe, cala immediatamente un silenzio rapito. Non importa quante volte una stessa favola sia stata ripetuta: ogni volta tutti si zittiranno all’istante, in attesa di provare emozioni antiche e nuove allo stesso tempo.

In Abruzzo una delle favole più richieste era sempre quella di Marcamà. Costui era un omone gigantesco, che portava i baffi e la barba talmente lunghi che strisciavano a terra e un cappello enorme ben calcato sugli occhi.
Marcamà aveva pesanti scarponi di ferro, un bastone lunghissimo e un grande sacco in spalla, dove era solito rinchiudere i bambini che facevano troppi capricci.
Nelle fredde sere d’inverno, Marcamà girava col suo sacco per le vie del paese in cerca di bimbi capricciosi, che piangevano o rifiutavano di dormire.

Nel silenzio reverenziale che avvolgeva la stanza, a volte si aveva quasi la sensazione di sentire davvero i passi pesanti dell’orco che affondavano nella neve fuori dalla casa avvolta in una coltre di solennità, dove non risuonava neanche un sibilo perché perfino i più grandi, rapiti dalla storia, abbandonavano la consueta partita a carte per ascoltare le parole della nonna.

Una sera, proprio durante uno di questi racconti, l’attenzione generale venne catturata dal guizzo di due occhi gialli sull’uscio avvolto nel buio. La strega! Dopo un secondo di silenzio confuso, scoppiò il putiferio: la nonna si faceva il segno della croce, le donne urlavano, i bambini piangevano, gli uomini si armavano, chi di aglio chi di bastoni. Fu in un lampo, e gli occhi sparirono così come erano arrivati.

Ma come aveva fatto la strega ad entrare in casa? Eppure la nonna prendeva sempre ogni accorgimento del caso: porta sprangata, scopa di saggina a testa in giù, sacchetto di fagioli, rosario. L’intera abitazione era a prova di strega.

Mentre ancora si cercava di risolvere il mistero, il più coraggioso della compagnia, armato di bastone, si decise ad uscire e inseguire la strega fuggitiva nella tormenta invernale.
Tutti gli avevano raccomandato di fare attenzione, che con le streghe non si scherza ma lui era deciso a darle una lezione e si precipitò all’esterno.

Dopo un po’, un urlo agghiacciante riempì l’aria, risuonando nella tormenta di neve che nel frattempo infuriava feroce. Subito dopo, fu il silenzio, pesante e tetro, interrotto solo dal sibilo insistente del vento. Il terrore avvilluppava tutti dentro la piccola casa, come se quella sera davanti ai loro occhi si fosse svolto un evento mistico e sovrannaturale: gli occhi fiammeggianti, il parapiglia, il terribile urlo. Era impossibile trattenere il pianto dei bambini.

Poi però l’eroe della serata rientrò in casa. Lui, l’impavido che aveva avuto il coraggio di seguire la strega nella tormenta, varcò la porta, pallido in volto almeno quanto lo erano i suoi vestiti, imbiancanti dalla neve fresca. Intirizzito dal freddo, si diresse subito verso il camino mentre tutti, ansiosi di notizie, gli si accalcavano intorno e gli offrivano un bicchiere di vino ristoratore.
Dopo un lungo sorso, finalmente ruppe il silenzio lugubre e curioso che lo circondava per dire: “L’ho uccisa!”.

Nonostante la rassicurazione, quella notte ben pochi bambini riuscirono a dormire. Lo spavento era ancora troppo recente e negli incubi dei più piccoli gli occhi gialli e lampeggianti della sera prima furono protagonisti.
Non fu strano, quindi, che la mattina seguente tutti, grandi e piccoli, fossero in piedi di buon’ora.
La tempesta era finita e aveva lasciato dietro di sé una coltre di bianco sterminato e silenzio denso. Dai vetri delle finestre, leggermente imbiancati dalla brina fredda, si scorgevano qua è là tetti, comignoli fumanti e alberi a interrompere la distesa di neve abbondante.

Eppure, in tutto quel candore spiccava una macchia scura, proprio a pochi passi dalla porta di casa della nonna. Che fossero i resti della crudele strega?
Così pensarono tutti, finché qualcuno non riuscì a svelare l’arcano: esaminata da vicino, la macchia scura altro non era che un povero gatto.
Alla luce del giorno era evidente anche un piccolo buco al lato della porta della casa, abbastanza grande da consentire il passaggio di un animale.
Insomma, la temibile strega che tanto aveva terrorizzato tutta la combriccola, alla fine era solo un gatto decisamente sfortunato.


Claudia Falcone – Discovery Abruzzo Magazine