Nelle forme della Maiella e del Gran Sasso, le fattezze umane di Maia e di Hermes

Il Gran Sasso visto dalla Maiella e precisamente dal Blockhaus

(DAM) Abruzzo – Il seguente articolo è tratto dall’argomento di uno dei capitoli del romanzo mitologico “La Leggenda del Gran Sasso e della Maiella”

Da sempre i monti abruzzesi sono scenario di miti e leggende senza tempo, che incantano da anni turisti e abitanti del luogo.

Il Gran Sasso, anche noto col soprannome di “Gigante Buono” e “Bella Addormentata” e la Maiella, con le sue bellezze ammalianti, sono le principali catene montuose abruzzesi, oggetto di tanti misteri e miti. Il nome Maiella deriva dalla dea Maia.

La tradizione popolare narra che la Maiella madre, montagna sacra, è stata dimora di civiltà antichissime, di cui restano molte testimonianze.

Il mito, come abbiamo visto, racconta che Maia era figlia di Atlante e Pleione, che avevano altre sei figlie.

Maia era non solo la maggiore ma anche la più bella. Ella ebbe una relazione con il dio Zeus da cui nacque Ermete.

La dea fuggì dalla Frigia per salvare suo figlio, un bellissimo gigante ferito durante uno scontro e inseguito dai propri nemici.

Ella arrivò tramite una zattera ad Orton (Ortona), dopo un terribile naufragio.

Qui attraversò i boschi e scalò il Gran Sasso, rifugiandosi in una caverna. Ivi tentò di salvare il suo figliolo ma non vi riuscì, sprofondando in una terribile angoscia.

Sul Gran Sasso si può ben notare la sepoltura del giovane gigante: la Vetta Orientale del Corno Grande riproduce infatti un gigantesco volto umano assopito in un sonno eterno.

Questo meraviglioso spettacolo della natura viene chiamato “Il Gigante che dorme”.

Per un favoloso miracolo della natura, poi, il monte osservato da un’altra prospettiva si trasforma in una meravigliosa fanciulla dalle forme sinuose detta “la bella addormentata”.

Un risvolto magico che mostra madre e figlio uniti per sempre in un connubio suggestivo, che incanta chiunque possa godere di un tale spettacolo naturale.

Tornando alla leggenda, Maia pianse per giorni la morte del figlio e le sue lacrime divennero stille di rugiada che rivestono i meravigliosi prati dei nostri monti.

Il suo corpo fu portato da fedeli e parenti della dea su una imponente montagna di fronte al Gran Sasso. Quella montagna, da quel giorno, fu chiamata Maiella.

Il nome “Monte Amaro”, conferito alla cima più alta, secondo alcuni, deriverebbe proprio dal profondo dolore vissuto dalla dea Maia.

Il suo volto distrutto dal dolore si riflette persino sulla Cima delle Murelle, dove è impresso come in un quadro di alta maestria.

Così è anche per il Vallone di Femmina morta, in cui il rumore scrosciante delle cascate, il vento che ulula disperatamente e le foreste ricordano il lamento disperato della dea per la morte prematura del figlio.

La Redazione di Discovery Abruzzo Magazine