Barbara Leoni e la storia passionale col d’Annunzio

Elvira Natalia Fraternali era una donna romana sposata con il Conte Leoni e passata alla storia con il h. datole dal suo amante Gabriele d’Annunzio: Barbara Leoni.

Fu amante dii Gabriele d’Annunzio (che la ribattezzò in maniera affettuosa Barbara o Barbarella a seconda se si trattasse di un momento passionale o dolce), marito quest’ultimo della Duchessa Maria Hardouin di Gallese.

Un riferimento alla relazione passionale fra Gabriele e Barbara che durò dal 1887 al 1891, e della quale rimane un epistolario nutrito, è presente nell’opera il Trionfo della Morte dove si parla dell’Eremo Dannunziano di San Vito Chietino, che è il luogo in cui riposano attualmente le spoglie mortali della Leoni.

Su Barbara Leoni si può dire che oltre ad aver sempre avuto in maniera concorde un gran rispetto di lei, i biografi le hanno attribuito un primato, quello di essere,tra le molte amanti del Vate, la più bella, intelligente e graziosa.

A tal proposito, ecco come si conobbero: nel 1887, camminando a Roma in via del Babbuino, Gabriele d’Annunzio fu attratto da una bella signora ferma davanti ad una libreria. Al pari della sua avvenenza, costituì un’ulteriore ragione di interesse l’amore per i libri e le stampe, per i quali pareva interessata. Il poeta era infatti sensibile ad entrambe le qualità. Inoltre, volgevano al termine il suo amore e la sua passione per la moglie Maria di Gallese.

Intanto, la scrutatrice della libreria in via del Babbuino aveva colpito nel segno, e il Vate aveva il desiderio di rivederla. Come? Egli aveva un privilegio da non trascurare, ossia che, in qualità di cronista mondano delle testate migliori della città eterna, spendeva il suo tempo nei ritrovi e nei caffè, dove si addensava il genere sociale che alimentava i pettegolezzi e le cronache e che costituiva la materia di molti articoli da terza pagina. Ma tale privilegio non gli avrebbe recato vantaggio se in quell’anno non fosse andato ad un concerto in via Margutta, a pochi passi dalla libreria da cui era stata attratta la bella signora. Il concerto era mediocre, ma in mezzo al pubblico c’era lei. Il Vate non perse tempo e resosi conto che conoscevano entrambi il pittore Guido Boggiani, fece in modo che costui gliela presentasse. Il resto è storia quasi descritta in maniera minuziosa dalle lettere, più di 1000, che vennero scritte in 5 anni.

La signora, Elvira Fraternali, era di Trastevere e di buona famiglia borghese, appartenuta a quelle di buona estrazione economica, ma non nobile, chiamata da Ugo Ojetti “il generone” nei suoi scritti, volendo intendere quella classe sociale divenuta benestante con il lavoro ed elevatasi ad ambiti altrimenti destinati ai soli nobili a causa dell’opulenza. Sposò il conte di Bologna Ercole Leoni per pretesa dei suoi genitori. Costui era ricco del titolo (sulla cui autenticità gravano tuttavia tanti dubbi). Infatti, era in realtà poco provvisto di soldi ed ancor meno di educazione e raffinatezza. Questo matrimonio che le era stato imposto, si era rivelato un disastro autentico: la donna era stata riempita di disgusto dal Leoni, che era forte di un’esperienza da postribolo e poco abituato agli slanci sensuali, peraltro trasmettendole sessualmente una malattia fin dall’inizio del contratto nuziale. Per tale ragione la giovane moglie ritornò nella casa paterna, risoluta a non farlo più all’abitazione coniugale. Anche se la mamma insisteva come poteva, allo scopo di sottrarla alla maldicenza, auspicando un ripensamento e la ripresa del matrimonio, Elvira si godeva intanto la convalescenza e rimandava tutte le decisioni, ben decisa giustamente a non distruggersi ancor più la vita insieme ad un uomo con cui non condivideva nessun interesse.

Elvira, oltre ad aver studiato pianoforte al Conservatorio di Milano e ad essere una brava pianista, coltivava interessi in pittura e letteratura e si dilettava in versi. Tutto ciò era lontano anni luce dal conte, che distratto da bisogni materiali se la cavava tra le angustie di un dissesto finanziario, tale da confermare ancora di più le ferme decisioni della moglie. Elvira però, camminando in via del Babbuino, andava incontro al suo destino immeritato ed ingrato, ed oscuro come quello di gran parte delle donne di d’Annunzio. Iniziò la sua relazione con quest’ultimo. Contrariamente al conte bolognese, il Vate diede subito al legame un taglio di marca squisitamente sensuale, facendo scoprire improvvisamente, alla giovane Elvira un mondo ignoto ed impensato.

In breve l’alunna teneva testa al maestro, così da inorgoglirlo, e al poeta stesso diventò ben presto indispensabile. Le disse “In me hai una vergine”.

Il d’Annunzio, che aveva comunque sia caro il nome della donna, essendo lo stesso della sua sorella preferita, la ribattezzò Barbara e con molti altri nomignoli, avendo tuttavia preferenza sempre per il primo, forse allo scopo di non evocare un ambito incestuoso. E così è arrivata fino a noi come Barbara Leoni, detta Barbarella nei momenti di tenerezza.

Selvaggio è il modo di amare, senza inibizioni, né freni, oltre i pudori e le convenzioni di Barbara; lacci che Elvira aveva subito interrotto, assecondando in maniera piena la natura lussuriosa del poeta.

Veronica Tieri

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