(DAM) Gardone Riviera (BS) – In questo breve speciale la collaboratrice di Discovery Abruzzo Magazine Veronica Tieri tratterà delle persone che vissero a fianco del Vate d’Italia Gabriele d’Annunzio al Vittoriale degli Italiani.
LE PERSONE CHE VISSERO NEL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
Oltre che da Gabriele d’Annunzio, il complesso del Vittoriale degli italiani fu abitato da tanti altri personaggi. Per tanti anni fu conosciuta come “la Signora del Vittoriale” la pianista Luisa Baccara che fu non soltanto una delle muse del Vate ma anche una delle sue amanti più discrete e fedeli. Sotto uno strato di sottomissione apparente, questa donna nascose una forza imprevedibile che gli consentì di resistere ostinatamente ad un’ondata di rivalità e gelosia che le venne attirata addosso dalla sua presenza assidua al Vittoriale (che all’epoca era Villa Cargnacco, a Gardone); e di portare con sé nella tomba, sopravvivendo a d’Annunzio per 47 anni, il segreto del “Volo dell’Arcangelo”, la caduta da una finestra del poeta stesso provocata forse da lei o dalla sorella Jolanda. Alla vigilia degli anni Venti, Luisa fu la rivelazione del Conservatorio Benedetto Marcello: su di lei, i giornali parlavano come di una pianista eccezionale, destinata a una carriera brillante. Il poeta l’aveva ascoltata suonare nel 1919 a casa di un’amica comune, e poche settimane più tardi le scrisse una lettera d’invito alla Casetta Rossa lungo il Canal Grande. Tale lettera fu la prima di 1780, che le furono scritte dal Vate fino al momento della morte di quest’ultimo. Luisa Baccara sfuggì a qualunque etichettatura: fu allo stesso tempo aggressiva e dolce, fredda all’apparenza al punto da risultare antipatica e possessiva ma capace di sopportare qualunque libertà il Vate ritenesse di prendersi (furono tante), anche sotto lo stesso tetto del Vittoriale. Era dotata non solo di una passione ma anche di una forza che traspare dalle lettere del poeta e che si sostanzia da un lato nella vicenda del cosiddetto “Volo dell’Arcangelo” e dall’altro in un tentativo di rapimento, programmato da alcuni fedelissimi del Vate nel 1920, per allontanarla da d’Annunzio (che era ritenuto troppo “distratto” dalle attenzioni che le riservava). Riguardo alla vicenda del “Volo dell’Arcangelo”, la “Signora del Vittoriale”, che pure rese pubblico il suo carteggio col poeta tramite una donazione, lo “epurò” delle lettere che avrebbero potuto fornire una ricostruzione dei fatti più fedele e protesse tale sua vicenda d’amore unica e strana fino alla fine. Resistette ad ogni tentazione giornalistica per decenni, mantenne il riserbo più assoluto su quei fatti anche quando fu intervistata in televisione a 92 anni, nel 1984 e morì, l’anno seguente, portando con sé il segreto di quella notte per sempre. Proprio nel Vittoriale, andava a trovare Gabriele d’Annunzio la sua ultima moglie Maria Hardouin di Gallese e il poeta scelse, per la dimora destinata ad ospitarla durante i suoi soggiorni al Vittoriale, il nome “Mirabella” ossia “Maria bella”. Il luogo del complesso dove soggiornava questa donna era dunque villa Mirabella, non molto distante dalla Prioria dove risiedeva il marito insieme alla sua piccola corte di fedeli (tra i quali Luisa Baccara, la sua ultima compagna). Alla moglie si deve la scelta, su commissione del Vate stesso che conosceva bene il gusto raffinato della “sua” Maria, di tanti degli arredi e suppellettili di pregio che possono essere ammirati al Vittoriale ancora oggi. Maria apparteneva alla nobiltà romana, viveva una vita agiata nel palazzo Altemps della città eterna e, come tutte le fanciulle nobili dell’epoca, ricevette un’istruzione adeguata e fu seguita da precettori. Amava studiare le lingue, inglese, tedesco e francese e le frequentazioni nel salotto di famiglia di letterati ed artisti la stimolavano in modo continuo. La duchessina incontrò d’Annunzio, che all’epoca era arrivato nella capitale da poco e già frequentava assiduamente i salotti romani, nel 1883. L’anno successivo, la donna era appagata dalle gioie della maternità e del matrimonio, seppure non mancavano i problemi. Infatti, oltre al fatto che la madre era stata cacciata di casa e a quello che il padre non voleva più vederla, il poeta, che non riusciva a mantenere il tenore di vita alto che sentiva necessario per la sua vita e la sua creatività, era assillato da problemi economici. E i grandi debiti che accumulava costrinsero Maria a bussare alla porta di suo padre, il duca Giulio. Venne cacciata in malo modo da un intendente a nome di quest’ultimo. Mentre il suo Gabriele dissipava i pochi soldi che riusciva a guadagnare la duchessina si rese conto ben presto che egli iniziava a nutrire interesse per altre dame nobili e la passione dei primi anni del matrimonio lasciava sempre più spazio, oltre a giornate vuote, ad assenze e silenzi del marito, che si innamorò ben presto di Elvira Fraternali Leoni, detta Barbarella, che fu la sua musa ispiratrice almeno per un lustro. Seppure folle di passione per Barbarella, Gabriele continuava ad amare a modo suo anche Maria. La nascita del terzogenito non ravvivò però la sua passione e il suo amore per la moglie, anzi. Essendo stanco della routine familiare decise di trascorrere periodi lunghi lontano dalla famiglia, lasciandoli spesso nell’indigenza più totale. Inoltre, anche nella sua produzione letteraria menzionava altre muse ispiratrici e non più Maria. Ormai le vite dei coniugi d’Annunzio erano due vite separate a tutti gli effetti, e un richiamo alla vita familiare non era rappresentato neanche dai figli. Nel 1890 Maria incontrò il padre a Roma, e pensando di poter scalfire la corazza dura del duca gli mandò incontro uno dei suoi figli. La figlia venne raggelata dal duca che, scansando il piccolo, le disse: “Che volete? Chi siete? Io non vi conosco”. La sofferenza provata da Maria la spinse al suicidio. Salvatasi da questo gesto, decise di separarsi dal marito in maniera definitiva. Ormai tra i due coniugi c’era totale incomunicabilità, lui continuava ad avere al suo fianco e a frequentare altre compagne e dunque si rese necessaria la formalizzazione di un accordo di separazione. Il gesto insano di Maria Hardouin di Gallese ebbe l’effetto di fare un’impressione favorevole al duca Giulio che decise di riavvicinarsi alla figlia, permettendole di andarlo a trovare. Dell’eredità paterna la donna ebbe poco: alcuni valori azionari, una vigna a Zagarolo e 2 a Colonna ed un lascito. Dopo essersi lei e Gabriele separati, i loro rapporti furono sempre di stima reciproca ed affetto. Per lui, Maria sarà, nonostante tutto, sua consolatrice, confidente ed amica, un sentimento sincero che finirà solo con la morte del Vate, avvenuta nel 1938 al Vittoriale. Alla duchessa non mancò, nella sua vita, nessun dolore: infatti, successivamente agli anni di povertà, al matrimonio infelice e all’indifferenza del padre, perse la madre nel 1925 e vennero a mancare anche 2 dei suoi 3 figli prima di lei. Gabriele d’Annunzio amò la dolce Maria, anche se a modo suo e per lui questa donna fu la musa ispiratrice del periodo della giovinezza e una figura discreta, ma sempre importante, dei suoi ultimi anni. Il progettista del Vittoriale fu l’architetto Gian Carlo Maroni e la sua abitazione, nonché la sede della Sovrintendenza della Santa Fabbrica del Vittoriale, era il Casseretto, che oggi è il Museo della Santa Fabbrica Gian Carlo Maroni. Si può comprendere la contrapposizione della personalità di quest’architetto rispetto alla ricchezza delle stanze della Prioria dall’impostazione semplice dell’ambiente in questione, sia nell’arredo interno che nella struttura esterna. All’interno del museo sono conservati, insieme a bozzetti, schizzi e disegni che testimoniano bene l’evoluzione continua e l’eterna attività della Santa Fabbrica, i libri con dediche che il Comandante volle donare al suo architetto. Il percorso museale circonda l’edificio ed accompagna i visitatori in una sala che espone i modelli di studio realizzati per le opere più maestose del Vittoriale che sono il Mausoleo, il Teatro all’aperto e lo Schifamondo. Nel 1935 al Vittoriale arrivò una nuova cameriera, raccomandata dalla moglie di d’Annunzio. Si chiamava Emma, in seguito soprannominata Emmy o Emy, ed era altoatesina di Bolzano. Piuttosto bella e giovane, entrò subito nelle grazie del poeta e riuscì a spodestare le altre 2 amanti, la governante Amélie Mazoyer e Luisa Baccara, che erano entrambe molto gelose. La sua presenza pone però qualche domanda. Il d’Annunzio era dichiaratamente ostile verso il nazismo. Questa donna era nata in Alto Adige quando la regione era ancora austroungarica e si sospetta che sia stata introdotta al Vittoriale allo scopo di sorvegliare il Vate. Dunque, mano a mano che si faceva più stretta l’alleanza con il nazismo, quest’ultimo manifestava un dissenso sempre più aperto. Nel 1938 egli aveva già accettato di tenere un discorso introduttivo davanti alle cariche più alte dello Stato, compreso Mussolini. Nel regime regnava il timore che il Vate ne facesse uno contro Hitler o comunque dai toni inaccettabili. Nel 1937, d’Annunzio, alla stazione di Verona, aveva incontrato Mussolini di ritorno dalla visita in Germania e disse al duce che l’amicizia con Hitler era sbagliata e biasimevole. Dal diario di Amélie Mazoyer risulta che il poeta venisse sfinito da Emy in maniera probabile con la cocaina, una sostanza dalla quale Gabriele provava a disintossicarsi e con il sesso. Era in un periodo di grande fragilità fisica. Il sospetto è che il Vate sia stato “finito” da Emy o con l’avvelenamento oppure con la cocaina ed è reso più grave dal fatto che in seguito la donna andò al servizio del fedelissimo di Mussolini Costanzo Ciano, si trasferì poi a Berlino e prese la cittadinanza tedesca e una leggenda vuole che andò al servizio di Ribbentrop. Un’altra teoria oltre a questa, è che il comandante si sia avvelenato. Nel 1911, a Parigi, prese servizio in casa di d’Annunzio Amélie Mazoyer, che era figlia di 2 contadini borgognoni. Rimase insieme a lui non solo come cameriera ed amica, ma anche come amante per quasi tutta la vita, diventando infine, al Vittoriale, anche la governante delle donne di servizio, le cosiddette sue “Clarisse”. Era rispettata e soprattutto temuta da ogni altra donna presente in quel luogo, comprese le amanti del Vate, perché era l’unica a tenergli testa. Aveva meno potere della Mazoyer anche la Baccara, che tutte consideravano come “la padrona di casa”. Fu la donna che rimase accanto al poeta per più tempo, ossia per ben 27 anni. Due sue doti apprezzate molto da Gabriele d’Annunzio erano la sua devozione e soprattutto la sua abilità non comune nella fellatio, che le valse il soprannome di “Aelis”, dal francese helice che significa “elica”. Procurando giovani amanti al suo datore di lavoro, vestendole per il grande incontro e dando loro consigli su come comportarsi nei convegni amorosi, la Mazoyer diventò anche la mezzana del Vittoriale. Alle mamme delle giovani prescelte prometteva anche splendidi compensi. Amélie non soltanto soddisfaceva ogni esigenza sessuale di d’Annunzio a qualsiasi ora ma ne divenne anche la confidente, e restò insieme a lui fino alla morte del Vate stesso. Infine, la responsabile del deposito di bevande e generi alimentari del Vittoriale, che fu l’ultima dimora del poeta, e la cuoca personale di quest’ultimo fu Albina Becevello. d’Annunzio mandò a questa donna decine e decine di biglietti garbati ed ironici per chiedere le sue richieste culinarie imprevedibili in tutti i momenti della giornata.
Veronica Tieri