(DAM) Sulmona (Aq) – Una lotta continua alla ricerca di una naturale forma di autorealizzazione che tanto più la si rincorre quanto più ci si allontana, finendo per vivere quell insoddisfazione di fondo che ci rende poco felici!
Tra l’ essere “qualcosa” e l’ essere “qualcuno” corre una gran differenza. “Qualcosa” avrebbe più a che fare con il rispondere alle aspettative del mondo esterno mentre l’ “essere qualcuno” è proprio ciò che ci distingue dalla massa e che favorisce una buona relazione con noi stessi. Tuttavia è pur vero che ogni piccolo progresso ci stimola qualcosa di nuovo e ci richiede indirettamente di perseguire nuove mete.
L’ autorealizzazione, ogni qualvolta la si raggiunge, è come fosse un’ arma a doppio taglio che se da un lato ci soddisfa dall’ altro ci richiede qualcos’ altro. Di mantenere un buon livello, di essere responsabili di ciò che facciamo e di ciò che siamo, perché quando ci si rinnova, qualcosa si prende, qualcosa si perde e dell’ altro ancora si ricerca, ed ogni volta che ci si apprezza per quel che si è raggiunto ci si disprezza per quel che ancora non si ha, destinandoci così ad un insoddisfazione a tempo indefinito.
Alla base psicologica di tutto questo cos è che davvero si cela?
Perché è cosi difficile apprezzarsi?
Insufficiente a tal punto una risposta razionale oppure dedurre che l’ insoddisfazione appartiene imprescindibilmente all’ essere umano.
Sarebbe utile riflettere, oltre che sulle modalità di relazioni che abbiamo vissuto ed interiorizzato ognuno nel proprio ciclo di vita, e per le quali sarebbe necessario un discorso teorico clinico più specifico, sul ruolo del riconoscimento sociale, essendo esso ciò che più si desidera, li dove il mantenimento dello stesso è ciò che più temiamo di perdere.
È così che l’ apprezzarsi si trasforma in elemento temporaneo che ci colloca in una dimensione di soddisfazione transitoria di breve durata.
Influente in tutto questo il ruolo della società che, come ci insegna Erich Fromm, ci richiede di fare la cosa giusta, costringendoci non solo a disertare le parti migliori di noi stessi ma anche ad un’ incessante dimostrazione di buon funzionamento che molto spesso ci conduce verso la nevrosi.
È allora ecco che apprezzarsi è difficile perché richiede una fatica costante che ci costringe ad un affanno e al dover essere superuomini che di fatto non siamo e mai saremo, sopratutto in una società che sorvola anche su quanto di meraviglioso è possibile che riusciamo a tirar fuori da noi.
Forse, allora, per riuscire ad apprezzarsi, è possibile che sia necessario prima di tutto imparare ad apprezzare?
Il dott. Yari Ferrone – Psicologo