(DAM) Qui di seguito illustreremo brevemente quello che era il ciclo della produzione in una antica bottega artigiana della ceramica di Rapino, tecnica che può considerarsi pressoché valida fino agli Cinquanta del Novecento e che può essere classificata attraverso le seguenti fasi:
1)Estrazione dell’argilla grezza lungo il fiume Versola; 2) Ripulimento dell’argilla grezza dalle impurità, riportandola allo stato liquido; 3)Asciugamento della terra arrivata dalla cava; 4) Sminuzzamento con dei magli di legno e messa a bagno; 5) Setacciamento dell’argilla; 6) Risolidificamento dell’argilla liquida, aggiungendo uno strato di argilla secca, preventivamente setacciata e messa a seccare, impastando il tutto con i piedi prima e poi tramite un rullo girato a mano con una manovella, tipo quelli per fare la pasta fatta in casa; 7) Modellatura al tornio a pedale o con stampi di gesso, utilizzati soprattutto per i piatti; 8) Prima Cottura intorno ai 1000°; 9) Estrazione dell’oggetto che si dipinge; 10) Seconda Cottura alla temperatura di fusione dello smalto e del colore (intorno ai 700° gradi).
Fino agli anni Quaranta del Novecento, si utilizzavano pressoché sempre dei giganteschi forni a legna per la doppia cottura, poi gradualmente, nel secondo dopoguerra, si sono introdotti i forni elettrici.
Il punto più critico dei forni a legna, era, oltre al fatto che funzionavano in modo ottimale solo a pieno carico, era il problema di riuscire ad avere un efficiente e costante funzionamento dei tiraggi. Il forno era organizzato così: nella parte sotterranea c’era il fuoco, al centro, c’era il reparto cottura, mentre nella parte alta si posizionava la merce umida per farla asciugare con i fumi.
La qualità del prodotto che si otteneva, dipendeva molto dall’abilità, dall’esperienza e dall’istinto del maestro artigiano, poiché bisognava in primis sapere quando bisognava far salire la temperatura, considerato che non c’erano dei rilevatori della temperatura.
La prima cottura che serve a trasformare la creta in biscotto, avviene intorno ai 1000° gradi e l’unica cosa di cui sembra ci si debba preoccupare, è non rovinare lo smalto, ma bisogna essere ugualmente molto scrupolosi, perché, ad esempio, intorno ai 500° gradi avviena la cristallizzazione con la trasformazione del quarzo, perciò bisogna stare attenti a dosare l’aumento della temperatura per non spaccare i pezzi.
La seconda cottura, avviene intorno ai 700° gradi, allorché lo smalto si fonde col colore. Bisogna fare molta attenzione affinché i colori non si rovinino. E’ possibile una forchetta di errore di massimo 10° – 20° gradi.
Per quanto riguarda la smaltatura, nella prima parte dell’Ottocento e nell’immediato secondo dopoguerra, si provvedeva a produrre lo smalto in proprio, attraverso una procedura molto faticosa. Solo sul finire degli anni Quaranta del XX secolo le fabbriche degli smalti ripresero la produzione pre bellica.
Per sostituire lo smalto si utilizzava il cosiddetto marzacotto, un mix di sabbia col piombo e il minio in mezzo,poi messo il tutto in un contenitore di terracotta che veniva posizionato nella fornace per portare i materiali alla temperatura di fusione. Gli smalti prodotti, non erano standard, ma, ovviamente, variavano da bottega a bottega, da mano a mano del maestro artigiano.
Una volta pronta, questa massa fusa, veniva estratta dai contenitori con un martelletto, poi la massa solida, doveva essere macinata di nuovo per essere riportata allo stato liquido. Solo in questo modo si poteva effettuare la smaltatura, avendo cura di aggiungerci circa un 5% di ossido di stagno (ricavabile dalle grondaie di stagno) per opacizzare la vernice trasparente. La macinazione dello smalto nella prima metà del XIX secolo e nei primi anni dell’ultimo dopoguerra, avveniva tramite dei mulini ad acqua, poiché in paese mancava l’energia elettrica.
Per approfondire si può vedere anche:
V.Giovannelli “I Galletti con il fischio delle botteghe di Rapino”, Amministrazione Comunale di Rapino, 1994.
Genius Loci: I Maestri di Rapino: tra ceramica cotta e galletti col fischio.
Per la foto vedere
Cipriano Piccolpasso, “I tre libri dell’arte del vasaio”, Stabilimento Tipografico 1857, Roma (Digitalizzato nel 2007).
La Redazione di Discovery Abruzzo Magazine