(DAM) Pescara – Sono Sara Di Giovanni, dottoressa in psicologia, specializzata in psicoterapia ad indirizzo psicodinamico e con viva dedizione coltivo da anni l’interesse per la psicoanalisi.
Ogni volta che una persona entra nella mia stanza mi chiedo sempre cosa accadrà, in che punto delle nostre vite ci incontreremo, quando, una sua sofferenza andrà a toccare una delle mie, certamente non uguale, ma indubbiamente analoga … in un gesto … un pensiero … un incubo … una perdita.
Antonino Ferro, psicoanalista della SPI (Società Psicoanalitica Italiana) è chiaro quando descrive la psicoanalisi come il metodo più efficace per il trattamento della sofferenza psichica. Lo strumento principale è essenzialmente se stessi, con la propria mente, la propria ricettività, la propria capacità di tessere narrazioni in cui vi sia una rottura esistenziale e la conseguente capacità di trasformare fatti non digeriti attraverso il sogno, il gioco e il lavoro onirico. Posso aggiungere che lo strumento è se stessi anche per tutto quello che abbiamo imparato, letto, studiato, sperimentato e poi deciso di dimenticare di fronte all’altro, esso stesso portatore di un sapere, il suo.
La cura attraverso la parola permette di riportare la persona sofferente, alla ricchezza e alla complessità creativa del linguaggio e quindi di aprirla alla possibilità di nuove soluzioni e di cambiamento. L’analista che mostra al paziente una via d’uscita, un modo alternativo di risolvere un problema, compie allo stesso tempo un’azione banale e straordinaria, perché niente è più difficile e frustrante da accettare, della scoperta che non c’è proprio nulla da scoprire, che la soluzione era già presente ed evidente. Wittgenstein propone l’esempio di un uomo prigioniero in una stanza che non riesce ad aprire la porta perché la tira invece di spingerla verso l’esterno … la soluzione sembrerebbe banale ma di fatto diventa impossibile da realizzare se l’uomo non riesce a pensarla … ed il pensare, come afferma Bion, è una delle attività umane più difficili, sgradite e pericolose.
Ognuno di noi dovrebbe invece avere la possibilità di non sentirsi più prigioniero a volte della propria malattia, a volte della paura, a volte degli altri e molto spesso di se stessi.
Dott. Sara Di Giovanni – Psicologa e Psicoterapeuta psicodinamica