
La morte di Gabriele d’Annunzio
(DAM) Chieti – Il giorno della morte del Vate d’Italia Gabriele d’Annunzio, avvenuta poco dopo le 20.00, fu il 1°
Marzo 1938.
Parlano della scomparsa del Padre della Patria alcune pagine di quotidiani dell’epoca esposte oggi all’Esposizione Dannunziana Teatina ospitata nel Grande Albergo Abruzzo di Chieti.
A tal proposito, il giornalista e saggista storico Cristiano Vignali del Centro Studi Dannunziani e Patriottici ha detto, riguardo alle varie osservazioni e teorie sulla sua morte che “uno dei documenti dell’esposizione, la “La Domenica del Corriere”, fa vedere d’Annunzio sul letto con un abito civile che lui portava probabilmente il giorno della sua morte e, che, quindi sarebbe deceduto non sul tavolo della Zambracca, ma sul letto della stanza della Leda e, successivamente la sua salma sarebbe stata composta con l’uniforme da Generale della Aeronautica Militare; come riporta il quotidiano La Stampa del 2 Marzo 1938, il poeta spirò, in seguito ad un breve malessere, per paralisi cerebrale. Quest’ultimo documento, che è stato donato da Errico Alberto dal suo archivio privato a Brindisi, si innesta nei cosiddetti “misteri” inerenti le varie ipotesi sulla scomparsa del Vate, le cause e le modalità.
La versione ufficiale, – ha precisato il giornalista Vignali – quella riconosciuta dai libri di storia istituzionali, dice che Gabriele d’Annunzio è morto sul suo tavolo da lavoro nella stanza della “Zambracca”, adiacente alla sala della “Leda”, come ha più volte affermato anche Giordano Bruno Guerri, Presidente e Direttore del Vittoriale degli Italiani .
Ma nel primo paragrafo de La Stampa, nella sua parte finale, – ha raccontato il saggista storico originario di Chieti – si dice che d’Annunzio si sentì male alle 18.00, ebbe un giramento di testa, non volle annullare i suoi appuntamenti del giorno, poi intorno alle 20.00 ebbe un riacutizzarsi più forte del male e portato sul letto nella stanza della Leda, spirò alle 20.15 circa. Questa versione – ha affermato il dannunziano Vignali – é sposata da biografi e studiosi dannunziani come Franco Di Tizio, ma questo potrebbe essere probabilmente anche un errore de La Stampa dell’epoca; comunque sia tale documento è molto importante, in quanto si innesta, come detto, insieme a “La Domenica del Corriere”, nei misteri sulla morte di d’Annunzio; altre versioni parlano di omicidio controllato con un avvelenamento graduale nel tempo, con delle droghe da parte della badante altoatesina, perché ricordiamo che Gabriele d’Annunzio era stato da poco nominato Presidente dell’Accademia Italiana, e che pochi mesi prima della morte, nell’agosto del 1937, era andato a Verona alla stazione, dopo il primo incontro fra Hitler e Mussolini in Germania, per consigliare al Duce di evitare un’alleanza con Hitler.
L’opinione di d’Annunzio, all’epoca, – ha detto lo studioso dannunziano Cristiano Vignali – era molto sentita anche nel mondo fascista, c’erano alcuni gerarchi che avevano molta stima di lui come Grandi e Balbo. Era molto legato al Vate anche il mondo irredentista, anzi, addirittura, Balbo e Grandi gli avevano chiesto di prendere la guida del Fascismo prima della marcia su Roma, erano andati da lui a Villa Gragnacco (che poi sarebbe diventata il Vittoriale).
Infine, – ha aggiunto il dannunzista – esiste un’altra versione che dice che d’Annunzio si sia suicidato in quanto sarebbe morto 11 giorni prima del suo compleanno, l’11 era anche il suo giorno fortunato e il calendario di Frate Indovino sulla sua scrivania della Zambracca aveva scritto che quel giorno sarebbe morto un grande italiano, c’è pertanto anche quest’ulteriore versione.
Come detto, quella ufficiale che ovviamente non mettiamo in discussione dice che il poeta morì di morte naturale sul tavolo della “Zambracca”. Poi sicuramente avranno favorito i farmaci e i vizi della vita viziosa che lui aveva, però, anche sugli ultimi istanti della sua vita, comunque sia si innestano delle fonti che sono contraddittorie rispetto a quelle ufficiali che hanno in ogni caso contribuito ad alimentare il mito dannunziano. La versione passata ai libri di storia – ci parla di un Gabriele d’Annunzio che fino alla fine resta a svolgere la sua funzione di poeta e letterato, come i grandi del passato che compaiono fino alla fine il loro lavoro, la loro missione.
Un documento che è presente a Chieti – ha detto il giornalista e saggista storico teparla proprio del fatto degli ultimi istanti della morte di d’Annunzio e della sua intera vita, anche in maniera molto mitica e leggendaria. Questo giornale dice inoltre che il personaggio all’epoca era considerato come il poeta dei nostri destini, il Vate (il destino in questione quello della Patria).
Quando si seppe la notizia della morte del Vate – ha raccontato il Vignali – suonarono tutte le campane italiane. L’ex consigliere di amministrazione della Fondazione del Vittoriale Attilio Mazza è preciso nel supporre alcune coincidenze strane sulla scomparsa di d’Annunzio, che nel 1934, a 75 anni, scrisse “Basta” all’amante Luisa Baccara, con un’allusione alla sua impotenza sessuale accentuata. Si trattava forse di un suicidio annunciato in quanto nello studiolo del poeta, la “Zambracca”, il dott. Antonio Bartolotti, esperto in etnomedicina ritrovò, all’interno di uno scaffale che conteneva medicinali, farmaci che all’epoca si prescrivevano per curare malattie nevrotiche e psicosomatiche, come l’esaurimento nervoso e l’insonnia. Infatti, come riporta nel suo libro “Quarant’anni con d’Annunzio” Tom Antongini, il Vate faceva uso di piccole dosi di stricnina, considerandola uno stimolante neurotonico. E accennò al suicidio più volte nei suoi scritti, ritenendosi ormai vittima della vecchiaia, come accennato nel “Libro Segreto” del 1935, addirittura elogiando il gesto in questione. Anche in una lettera, ritrovata fra gli scritti inediti del 1937 rivolti a Ines Pradella, confidava di soffrire di “quegli effetti di malinconia mortale che mi fanno temere di me, perché è predestinato che io mi uccida”. Inoltre, confermava il proposito suicida l’anno seguente (20 Febbraio 1938) in un’altra lettera rivolta alla moglie Maria Hardouin di Gallese. Tuttavia, alla fine, d’Annunzio non si suicidò in quanto è scritto, nel certificato medico redatto dal dottore curante del poeta e dal primario dell’Ospedale di Salò, il medico Alberto Cesari, che il Vate decedette per un’emorragia cerebrale.
Come sostiene Attilio Mazza, – ha continuato Cristiano Vignali – non si sarebbe potuto effettuare il rito religioso solenne, con imbarazzo innegabile; per il Governo e Mussolini se fosse stata resa pubblica la morte volontaria. E trova anche spiegazione la velocità delle esequie, giacché Mussolini arrivò alle 8 di mattina del Mercoledì successivo, giusto il tempo necessario per l’approntamento presidenziale insieme ai ministri Alfieri, Starace e Ciano e al segretario particolare Sebastiani, per presenziare ai funerali la mattina di Giovedì 3 Marzo 1938, alle 8.30. Suffraga l’ipotesi insorta sulla morte del poeta anche la fretta con cui si conclusero le esequie, senza lo svolgimento di accertamenti per stabilire i motivi effettivi del decesso del d’Annunzio” ha concluso Cristiano Vignali.
Veronica Tieri – Discovery Abruzzo Magazine