La dott.ssa Valeria de Prophetis ci parla del disturbo narcisistico

Narciso (1890) di Jules Cyrille Cavé (Wikipedia)

(DAM) Pescara – Ho sempre sostenuto che le leggende mitologiche mettessero in luce ed esaltassero comportamenti specifici degli esseri umani per evidenziarne la “nocività”.

E’ il caso di Narciso, fanciullo di una bellezza inequiparabile, corteggiato da tutte le ninfee, ma spregievole verso di esse, decretando così la sua morte per il troppo amore solo verso se stesso.

In psicologia, Narciso, presta il suo nome e la sua storia ad un disturbo di personalità, che poco si discosta dalla mitologia.

Il disturbo narcisistico di personalità, a mio avviso, mi riporta alla mente l’immagine di uomo con uno specchio al posto degli occhi, delle orecchie, del cuore e degli altri organi e sensi, poichè sono più preoccupati di come appaiano al mondo piuttosto di cosa sentono.

Da questo ne emerge uno scarsa consapevolezza propriocettiva del loro corpo, perchè focalizzati a cercare consensi all’esterno. L’altro non è però di certo più importante di loro, poichè è solo uno strumento per nutrire il loro ego e la loro autostima.

Anche al livello emotivo prendono dall’altro tutto ciò che dà compiacimento, amano essere amati, ma non sanno Amare. Questa difficoltà è data dall’importanza che ripongono nell’immagine che l’altro ha di loro.

Nel relazionarsi con l’altro, perde il focus, ovvero “l’altro”, poichè incentrato a mostrare al mondo quanto lui sia speciale, unico, bravo, attraverso l’elogio esagerato dei suoi successi, talenti e risultati. Ad esempio, sia nelle relazioni sentimentali, sia amicali che lavorative, quando non è più sostenuto, e viene a mancare dall’altro la sua “linfa vitale”, il narcisista tende a chiudere i rapporti affermando l’altro come colpevole, screditandolo ed additandolo.

Da questa breve descrizione sembra che abbiamo a che fare con una persona da cui star bene alla larga. Ma il lavoro psicoterapeutico serve ad andare oltre a questa immagine di superficie e scavare nel nucleo più profondo. Emerge così un “bambino”, che, per vari motivi, è stato costretto a mettere da parte i propri bisogni e la propria emotività, per sentirsi amato e considerato da figure di riferimento poco attente. Quindi costruiscono un immagine di sè (ideale) ben lontana da quella reale. È come se un bambino escogitasse la strategia “più sono perfetto e più amore ricevo”, finchè, lo schema si cristallizza, e in età adulta perdono il senso reale di chi sono, mantendendo il senso ideale di chi pensano di essere avendo come unico scopo quello di essere sempre i migliori a cui tutto è dovuto. Questo terreno risulta molto fertile però, per la paura di sentirsi inadeguato, non apprezzato e smaschera una forte fragilità, che ha la sua evoluzione soprattutto in stati depressivi.

C’è la sensazione di una mancata identità da parte di questi individui. È come se ci fossero due poli contrastanti che non danno un senso di unitarietà: da una parte c’è la maestosità e grandiosità che essi professano, dall’altra la paura di non essere adeguati, con conseguente ricerca spasmodica di qualcuno che riempia questo vuoto. Infatti, non di rado, i rapporti interpersonali nascono tutti con l’esigenza di legare l’altro a se, in tal modo viene così sedata l’angoscia vissuta durante le prime relazioni significative con le figure di riferimento. Si circondano duqnue di amici e colleghi che li ammirino senza riserve, e pur descrivendosi amanti della libertà, sono quasi sempre in coppia con un/una o più partner.

Da questa premessa, ci si aspetta che un narcisista scelga con cura il proprio partner: persone che possano assecondare i loro bisogni e compensare le loro lacune, determinando così una relazione impari, a discapito dell’altro. Essendo bravi manipolatori e molto seduttivi, non è difficile conquistare il partner, il quale, in un primo momento, avverte di essere avvolto da una calda coperta. Poi, come abbiamo già descritto in precedenza, quando l’altro interrompe il rapporto di sottomissione alla “logica narcisistica”, quest’ultimo pur di non sentire la tristezza dell’abbandono, riversa tutto in disprezzanti accuse e svalutazioni, poichè è una specificità di questi individui il non prendersi mai la responsabilità dei conflitti che insorgono. Sentirsi ed essere empatici è una cosa che il narcista non sa fare.

Un buon lavoro terapeutico verte quindi, in primo luogo, a dare un corpo a queste persone, a sentirlo, dare un nome alle proprie emozioni, a dare voce ai propri bisogni nascosti, come di vicinanza con l’altro, e aiutarli a instaurare relazioni autentiche. In poche parole il lavoro a lungo termine è quello di andarli a prendere nel loro mondo “fantastico” e piano piano, accompagnarli nella realtà.

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Valeria De Prophetis – Psicologa e Psicosessuologa