Da Piazza San Sepolcro a Fiume Città di Vita ed oltre ..

(DAM) Lago di Garda – Uno dei più grandi studiosi dannunziani viventi, il giornalista pubblicista, ricercatore e scrittore Ruggero Morghen di Riva del Garda (TN), a circa una 40ina di Km dal Vittoriale degli Italiani, ci parla del suo libro Da piazza San Sepolcro a Fiume città di vita, edito da Marco Solfanelli di Chieti, e fa alcune sul nuovo libro in cantiere.

Alessandro Pozzi nel Diciannove tra Mussolini e d’Annunzio

(DAM) Lago di Garda- In giovanissima età il milanese Alessandro Pozzi (1901-1944) milita con i corridoniani dell’Unione sindacale per arruolarsi poi volontario, nella fase finale della guerra, come caporalmaggiore degli Arditi. Lo stesso Pozzi si ricorda “giovane fante, volontario di guerra, decorato e invalido al Piave”. È quindi legionario a Fiume con Gabriele d’Annunzio, come risulta dall’elenco ufficiale dei legionari fiumani depositato presso la Fondazione del Vittoriale degli Italiani. Nel luglio-agosto 1921, inoltre, quando l’impresa fiumana è già conclusa da più di sei mesi, Pozzi è tra quegli Arditi che occupano i moli del porto orientale della città quarnerina: porto Baross o porto Sauro, secondo la denominazione patriottica in voga in epoca dannunziana. A lui s’interessano, scrivendone, storici quali Ferdinando Gerra, Mauro Canali, Claudia Salaris, Mimmo Franzinelli e Giordano Bruno Guerri.

Nella città di vita Pozzi è protagonista della singolare stagione fiumana con Comisso, Furst, Kochnitzky e, naturalmente, Guido Keller, cui è legato da una strana amicizia. Anche Alberto Bertotto ricorda, di Keller, “il suo fedele amico Pozzi”, che è anche “uno dei suoi biografi”. Con un pugnale ed un cappello recante il distintivo dei volontari “Venezia Giulia” (una stella con la lettera “V”) egli è ritratto assieme ad Attilio Moreschina “in una teatralizzazione della guerra-festa tipica della temperie fiumana”.

A Fiume Pozzi prende parte attiva alla festa della rivoluzione ed è tra i firmatari dell’incendiario appello “Ai fiumani!”, di sapore futurista, che invita a “rendere tutto possibile in atmosfera di genialità-follia incandescente”. Composto secondo i dettami paroliberi, il testo – osserva Claudia Salaris – “è futurista anche nei contenuti d’allegra invettiva iconoclasta contro la festa istituzionale dei benpensanti”.

Ma Pozzi è anche un fascista della prima ora, un sansepolcrista, un diciannovista inserito vitalmente nel magmatico mondo rivoluzionario di quell’anno: l’anno degli albori, in cui la giovinezza irrompe come categoria dello spirito consacrata dalla guerra. Lo troviamo infatti il 23 marzo 1919 a Milano alla storica adunata di San Sepolcro fondativa dei Fasci di combattimento che, indetta dopo il fallimento di una progettata “Costituente dell’interventismo”, ha luogo nel salone concesso dalla presidenza del Circolo degli interessi industriali e commerciali, al primo piano del civico 9 di piazza San Sepolcro. Due giorni prima, peraltro, egli era presente anche alla fondazione ufficiale del Fascio di Combattimento di Milano, il cosiddetto “Fascio primigenio”, per Giorgio Rumi la prova su scala ridotta della susseguente e tanto più nota adunata del 23 marzo.

Latore di un messaggio del Comandante per “Il Popolo d’Italia”, a novembre Pozzi si tuffa nella competizione elettorale – nel “pantano cartaceo” – tra le teste di ferro inviate da Fiume a Milano a supporto e protezione della lotta civica ingaggiata dai primi fascisti.  Viene arrestato con Mussolini e processato; uscirà a dicembre.

Si rifà quindi vivo col suo “nume” Gabriele d’Annunzio, ormai ritiratosi nell’eremo del Vittoriale, e lo raggiunge a Gardone. Ospitato alla Mirabella, è cacciato dal Vate per il suo “delirio”. Nell’estate del 1928 si segnala a questo proposito una lettera dalla Mendola di Luisa Baccara al dottor Antonio Duse. Dopo aver precisato che “la villeggiatura non è proprio cominciata bene”, la pianista veneziana scrive: “Il Comandante mi dice del delirio di Pozzi che ospita alla Mirabella. Anche quello è un individuo che va bene per barba rossa. Se sono così – osserva la Baccara – non fa che si avvicinino al Comandante”.

Il 12 settembre 1929 Pozzi è con Keller e col camerata Ruggero Lenzi, aiutante maggiore della legione “Cesare Battisti” di Trento, alla celebrazione del decennale di Ronchi tenuta dai legionari trentini a Vezzano, presso la casa natale di Italo Conci, “il glorioso morto di

Fiume, volontario irredento in Italia”. Il 24 settembre il pubblicista milanese scrive ancora a d’Annunzio: “Questi ultimi mesi hanno segnato una sequela di persecuzioni e di privazioni. Non so di che mi possano incolpare, e anche il mio recente arresto avvenuto stamani si è concluso con dichiarazioni di stima da parte dei funzionari e immediato rilascio”.

Caduto in disgrazia dopo la cacciata del suo “padrino” – il federale di Milano Mario Giampaoli, destituito ed espulso dal partito -, Pozzi scrive tra i monti di Serrada la prima biografia di Guido Keller, l’amico aviatore morto prematuramente in un incidente stradale. E descrive l’impresa di Fiume come “il fonte battesimale della nuova coscienza italica”.

Sandro Pozzi ritiene il lato corsaro dell’impresa “uno degli aspetti più interessanti dell’epopea”, che merita di venir considerato in tutta la sua portata derivando forse dall’influsso esercitato dalle esperienze dell’arditismo di guerra. Del resto – diceva d’Annunzio – a Fiume non ci sono fanti, non ci sono cavalieri, non mitraglieri, non artiglieri, non marinai. Non ci sono se non Arditi”. “E gli Arditi  – aggiungeva – sono tutti saliti d’un grado: sono tutti Arditissimi”.

Il capitolo del libro dedicato a “Guido Keller nell’azione fiumana” considera poi il “movimento di rivendicazione fiumana di cui fu uno dei precipui sostenitori”, quando “l’esercito sgretolato si ricostituì in legione” contro la vittoria mutilata ed apparve questa “barbuta figura di legionario più vicino all’aspetto al matahana che non al cliché sterotipo dell’ufficialetto brillante”, questo “stravagante araldo di romantici principi cavallereschi sorpassati dal tempo”.

Ruggero Morghen

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