Albina Becevello, la cuoca di d’Annunzio

(DAM) Vittoriale degli Italiani – Albina Becevello nacque a Carbonera, nel Trevigiano, nel 1882. Il suo vero cognome era “Lucarelli”, e lo cambiò quando, rimasta orfana ad appena 8 anni, fu adottata dai Becevello, che erano dei mezzadri di quella zona. Non ebbe mai marito. Inoltre, il suo unico parente di sangue era un fratello invalido, che veniva aiutato, tramite Albina, dal Comandante per mezzo di somme di denaro generose. Gabriele d’Annunzio Albina lo incontrò a Venezia, e il Vate se la portò alla sua ultima abitazione, il Vittoriale a Gardone Riviera, con l’incarico di responsabile della “cambusa” (cucina) e di cuoca personale. A lei il poeta mandò decine e decine di biglietti garbati ed ironici per chiedere, in tutti i momenti della giornata, le sue richieste culinarie imprevedibili che erano: pernice fredda, frittata e costolette di vitello, patatine fritte e cannelloni, cioccolata e biscotti, ma in particolar modo uova sode, il cibo preferito del Vate. I momenti in cui quest’ultimo si sbizzarriva in disposizioni culinarie dettagliate, richieste con maniere ora poetiche e scherzose ora che non ammettevano discussioni, mandate alla fidata “Suor Intingola” ossia Albina, erano quelli in cui egli si dava a scorpacciate compulsive e disordinate, che venivano spesso provocate dall’arrivo di qualche amante. Queste scorpacciate il poeta le alternava a giorni di digiuno.

La fedele Albina alloggiava in una delle molte stanzette del sottotetto e veniva anche svegliata nel cuore della notte per soddisfare i desideri del poeta e delle sue amanti. Ma, nonostante ciò, al mattino era sempre pronta a riprendere il suo posto nella cucina che d’Annunzio le aveva fatto allestire con cura dei particolari ed orgoglio, il “regno di fuoco”.

Un giorno di Ottobre del 1927 il Vate scrisse ad Albina un ordine, ossia: che da quel giorno in poi, sempre, tra le tre e le quattro del pomeriggio doveva essere pronto il vitello freddo con o senza salsa solo per lui e che voleva sapere il ripostiglio dove lo avrebbe serbato, e sarebbe andato egli stesso a prenderselo, quando avrebbe avuto fame. Le arti della cuoca, che fu imperatrice della cucina del Vate sin dai tempi di Venezia, furono decantate dal poeta in versi scherzosi, quasi una filastrocca infantile, che egli scrisse alla vigilia della ricorrenza della Beffa di Buccari (accaduta 5 anni prima), nel Febbraio del 1923.

In seguito alla morte del padrone, Albina non portò con sé i tanti biglietti che ricevette dal Vate a Brescia, nella casa di riposo delle Figlie di San Camillo, dove si ritirò a trascorrere gli ultimi anni di una vita invero breve (si spense ad appena 58 anni) ma lasciò tutto al Vittoriale, così che la ricca corrispondenza culinaria del poeta fu successivamente archiviata e catalogata in maniera accurata.

Veronica Tieri